Dodici mesi fa vi avevamo annunciato su questi schermi un percorso biennale sul tema della fragilità. Grazie a Dio siamo ancora tutti interi, per cui eccoci qua per inaugurare la seconda parte del nostro cammino, che ci impegnerà come di consueto per tutto il corso dell’anno pastorale.

“Fragile: maneggiare con cura” è lo slogan che ci ispirerà anche nei prossimi mesi. Rispetto all’anno scorso, quando avevamo messo a fuoco soprattutto le relazioni umane nella loro concretezza, con i loro lati appassionanti e quelli più difficili da gestire, proveremo ora a concentrarci più da vicino su come tutto questo si articoli in quella forma particolare di vita che è la vita cristiana. All’interno di quel guazzabuglio che è la storia dell’uomo, il cristiano è infatti chiamato a portare una luce che si manifesta, prima ancora che in parole e segni, in un peculiare stile di vita (“da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”, Gv 13, 35; e ancora: “non chiunque mi dice ‘Signore, Signore’, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”, Mt 7, 21). Qualcosa che ci rende al tempo stesso compartecipi delle vicende del mondo, e però anche come “stranieri” rispetto ad esso in quanto – si spera – liberi dall’azione di quelle potenze mondane che conducono all’ingordigia e alla sopraffazione reciproca, così come al risentimento e alla delusione, senza che questo voglia però dire riuscire a esserne sempre immuni (Nel mondo, ma non del mondo era appunto il titolo dell’ultimo step dell’anno scorso, a cui ci riagganciamo direttamente).


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